Alla scoperta di Tellaro: un tuffo alla fine del mondo

 

Muri gialli e rosa pastello si alternano a mattonelle rosse e bianche. Porte e finestrelle verdi si stagliano, come sorrisi, sulla scogliera che si affaccia sul Golfo dei Poeti. “È un posto che non si può attraversare. È un posto a cui si arriva. Un po’ la fine, una delle fini del mondo. Si arriva e basta: si è arrivati. C’è un senso, unico, di calma e di chiusura.”

È con queste parole accorate che lo scrittore e giornalista torinese Mario Soldati descriveva Tellaro, borgo marinaro all’estremità orientale di Lerici (SP), fuori dal noto itinerario turistico delle Cinque Terre, dove decise di trascorrere la sua vecchiaia.

Eugenio Montale, invece, durante una sosta in treno, vi trovò l’ispirazione per una poesia. “…Cupole di fogliame da cui sprizza una polifonia di limoni e di arance e il velo evanescente di una spuma, di una cipria di mare che nessun piede d’uomo ha toccato o sembra, ma purtroppo il treno accelera”.

Nato come avamposto difensivo dell’antico insediamento romano di Barbazzano, che nel 1400 fu raso al suolo dai saraceni, Tellaro, abitato oggi da 1200 persone, fu particolarmente apprezzato anche dagli inglesi Virginia Woolf ed Henry James

DA NON PERDERE

A ergersi fiera sullo sperone della roccia a sud ovest è la chiesa di San Giorgio, risalente al XVI secolo. Secondo una leggenda popolare furono proprio le sue campane a svegliare gli abitanti durante un assalto notturno di pirati saraceni. Pare che a dare l’allarme, consentendo ai cittadini del borgo di avere la meglio sui nemici, fosse stato un polpo gigante con i suoi tentacoli.

A testimonianza del curioso avvenimento un’iscrizione in latino nella chiesa: “Saraceni mare nostrum infestantes sunt noctu profligati quod polipus aer cirris suis sacrum pulsabat”. A raccontarlo, poi, in una lettera, anche lo scrittore inglese David Herbert Richards Lawrence che trascorse un periodo della sua vita proprio tra Tellaro e i vicini borghi liguri. Scrive nel 1913 a un amico: “Una leggenda racconta che una volta, di notte, la campana della chiesa cominciò a suonare senza smettere. Gli abitanti si svegliarono spaventati, mentre la campana continuava a suonare misteriosamente.

Poi si scoprì che la corda della campana era caduta sul bordo della scogliera, tra le rocce, un grosso polpo era riuscito a prendere la cima e tirarla, il che è possibile. Gli uomini vanno a pesca di polpi con un’esca bianca e una lunga fiocina. Ne prendono di grandi, a volte di tre chili o tre chili e mezzo di peso. Non ho mai visto niente di così diabolicamente brutto, ma sono buoni da mangiare”.

Già. Forse complice la leggenda, pietanza tipica non poteva che essere il polpo alla tellarese. Lessato con le patate, è condito con olio, olive snocciolate, un trito di aglio, prezzemolo, sale e succo di limone.

Ad attrarre ancora l’attenzione vicino alla Chiesa di San Giorgio è una particolare cancellata in ferro battuto che introduce in una galleria coperta: è la cosiddetta Sotto-ria, costruita intorno al 1300 a difesa del borgo dalle incursioni dei saraceni, dei catalani e dei pirati locali.

Da non perdere inoltre una passeggiata tra i caruggi, strette viuzze che avevano la funzione di incontro, sfide, faide tra famiglie, ma anche di veglia.

CURIOSITÀ

  • Probabilmente è proprio nei caruggi (chiamati a Tellaro carubbi) che affonda le radici l’antico detto di Porto Venere (paesino che si affaccia sul capo opposto del Golfo dei Poeti) “Tellaro non voglio, perché brucian con l’olio”. A Tellaro infatti si produceva così tanto olio da poterlo usare, bollente, come arma di difesa. Pare che, dalle finestre che affacciavano sui vicoli, venisse rovesciato sugli assalitori giunti dal mare.
  • Il nome Tellaro potrebbe derivare da “tela” per via dei commerci di tele e stoffe, o dal latino telus, il dardo usato per la difesa, o addirittura dall’etrusco o paleo-ligure tularche significa “confine del villaggio”.
  • Il 24 dicembre si svolge il Natale Subacqueo. Trasportata da un gruppo di sub, la statua di Gesù Bambino emerge dalle acque per poi essere depositata in una mangiatoia. La luce di 8.000 lumini e i fuochi d’artificio sul mare danno vita a un’atmosfera magica.
  • La CNN ha inserito Tellaro tra i sette borghi più belli e affascinanti d’Europa.

 

Valeria De Simone

 

Leggi tutto...

Benvenuti al Sud: la mitologica bellezza del Cilento

Qui non si muore disse Gioacchino Murat in visita a Castellabate nel 1811. Davanti agli occhi i monti del Cilento che si tuffano nel golfo di Salerno. Nelle narici aria pura e l’odore pungente dei limoni. Come dargli torto? La celebre frase pronunciata dal re di Napoli, impressa in una targa in prossimità del Belvedere San Costabile, accoglie i visitatori nel borgo medievale divenuto famoso per il film “Benvenuti al Sud”.

Piccolo spoiler: l’ufficio postale, diretto da Claudio Bisio nei panni di Alberto Colombo, non esiste nella realtà. Al suo posto, alcuni bar dove poter sorseggiare un caffè vista mare accompagnato da un croccante e cremoso cannolo cilentano.

Proseguiamo il nostro tour. Camminando tra i vicoli stretti, adornati di fiori, arriviamo al Castello dell’Abate (che dà nome al paese) fatto costruire dall’abate Costabile Gentilcore nel 1123 a scopo difensivo dagli attacchi dei saraceni.

Ma non è l’unico della zona. A 20 minuti di macchina si trova anche la maestosa roccaforte angioina-aragonese di Agropoli. Situata in cima al promontorio, su cui il centro storico è arroccato, è raggiungibile attraverso una salita fatta di “gradoni”. Una volta arrivati in cima incantevole è la vista sul porticciolo con le sue barchette adagiate sul mare cristallino. E se il Grecale vi assiste, potrete scorgere, al tramonto, l’isola di Capri.

 

 

Da non perdere

Se amate la natura dovete assolutamente immergervi nel sentiero Apprezzami l’Asino, a Sapri. A sinistra terra e alberi, dritti di fronte a voi discese e risalite. Sulla destra il golfo di Policastro.

Agli inizi del ‘900 era l’unico tratto che collegava il piccolo paese costiero in provincia di Salerno a Maratea (Pz), snodo nevralgico per lo scambio di merci trasportate dagli asini. Il percorso è in alcuni tratti talmente stretto e ripido che difficilmente due asini, provenienti da sensi opposti, riuscivano a passare insieme. Accadeva così che, dopo una valutazione degli animali e dei carichi, in cambio di un risarcimento pari alla metà del valore dell’asino meno prezioso, quest’ultimo venisse gettato in mare. Da qui il bizzarro toponimo Apprezzami l’Asino.

Adesso di asini non se ne vedono più. A fare capolino, invece, tra i flutti, è la statua della Spigolatrice, adagiata, come una sirena, sullo scoglio dello Scialandro. La ricorderete dai celebri versi di Luigi Mercantini, pregni di patriottismo risorgimentale (“Eran 300, erano giovani e forti…”) imparati sui banchi di scuola.

Realizzata nel 1994 dall’artista Gennaro Ricco, non è l’unica statua della bella contadina che appoggiò la fallimentare impresa di Carlo Pisacane contro la monarchia borbonica. Nel 2021, nei giardini del lungomare di Sapri è stata inaugurata quella dello scultore Emanuele Stifano. Formosa e dalla sguardo fiero, è stata bollata dai media come “troppo audace e sexy”.

Non lasciate il Cilento senza aver fatto tappa a Scario, borgo marinaro alle pendici del Monte Bulgheria, ideale per una pausa pranzo all’ombra di casette variopinte e al suono delle campane della Chiesa dell’Immacolata, dove è conservata una piccola e prodigiosa statua della Madonna. Si narra che, proprietà di un capitano di un veliero, fu donata a Scario a seguito di un miracolo. Era il 1846. L’imbarcazione, proveniente da Napoli e diretta in Sicilia, fu colta da una tempesta improvvisa. Il capitano promise che se fosse scampata al naufragio avrebbe lasciato la statuetta nel primo porto in cui avesse trovato riparo. Così fu. E da allora, il 10 agosto di ogni anno, una processione in mare ricorda l’evento.

Da non perdere, poi, in estate, le spiagge selvagge e incontaminate di Marina di Camerota (che vanta la presenza di numerose grotte di origine carsica dove sono stati rinvenuti reperti risalenti all'età della pietra) e la Baia del Buon Dormire, con la sua sabbia fine e dorata, a Palinuro

Curiosità

  • Miti e leggende aleggiano intorno all’origine di queste due località. Nel quinto libro dell’Eneide Virgilio narra che il nocchiero di Enea, Palinuro (il cui nome in greco significa “vento contrario”), tradito dal dio Sonno mentre conduceva la flotta verso l’Italia, cade in mare.
  • Nonostante fosse riuscito a raggiungere la costa a nuoto, viene ucciso dalla popolazione del luogo (che sarà poi da allora chiamato Palinuro) perché scambiato per un mostro marino.
    Secoli dopo, lo scrittore napoletano Berardino Rota (1508-1575), in apertura della sua opera poetica in latino Sylvarum seu Metamorphoseon liber, lega inscindibilmente la vicenda di Palinuro a quella di Camerota. O meglio, della ninfa del mare Kamaraton.

  • Rota racconta che Palinuro, dopo aver invocato il dio Sonno, si lascia morire perché respinto dalla bella sirena, poi trasformata in roccia da Venere. La dea dell’amore decide infatti di punirla condannandola a guardare per l’eternità il nocchiero respinto. Camerota e Palinuro restano vicini, ma non al punto da potersi incontrare, divisi per sempre da una lunga spiaggia.

Valeria De Simone

 

Leggi tutto...

Fuori Porta, una gita a Gradara: la capitale del Medioevo e dell’amore

Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. Sublimi e traboccanti di passione, i versi del V canto dell’Inferno di Dante sembrano riecheggiare su questa collina, al confine tra le Marche e l’Emilia Romagna, da cui si vede l’Adriatico divenire tutt’uno con il cielo.

Siamo a Gradara, borgo tra i più belli d’Italia e Capitale del Medioevo, a meno di 15 chilometri da Pesaro e da Riccione, reso celebre da quei due che 'nsieme vanno, e paion sì al vento esser leggieri: Paolo Malatesta e Francesca da Rimini.

I due, collocati dal sommo poeta nel girone dei lussuriosi, trovano la morte per mano di Gianciotto, fratello vecchio e zoppo del bel Paolo e marito di Francesca, dopo che quest’ultimo scopre la relazione segreta tra i due cognati. È il 1289. Un ponte levatoio alla fine di una salita, resa meno ardua da botteghe di artigiani e osterie, ci catapulta indietro nel tempo.  

DA NON PERDERE

Immancabile tappa nell’antico borgo di Gradara è la Rocca malatestiana che, insieme all’imponente cinta muraria (lunga circa 800 metri e percorribile ancora oggi nei Camminamenti di ronda), è tra le strutture medioevali meglio conservate d’Italia. Diversi i Papi e le nobili famiglie passati da qui nei secoli: non solo i Malatesta, ma anche gli Sforza, i Medici, i Borgia e i Della Rovere.

Quattordici le stanze del castello. La più suggestiva è proprio quella in cui Paolo e Francesca si sono scambiati un bacio dopo aver letto la storia d’amore di Lancillotto e Ginevra. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse, ci racconta Dante. Ma non solo. C’è anche il variopinto camerino di Lucrezia Borgia, sposa di Giovanni Sforza, e una sala delle torture.

Da non perdere poi la Grotta ipogeo, una delle sedici presenti nel sottosuolo tufaceo usate  come luoghi di culto bizantino e successivamente come vie di fuga dal castello, il Museo storico e la piccola Chiesa di San Giovanni con la sua facciata trecentesca.

Per i più romantici consigliata la Passeggiata degli innamorati, un sentiero pedonale, di circa 3 chilometri, tra cerri e olmi.

 

CURIOSITÀ

  • Al castello di Paolo e Francesca, seppur teatro di un amore tormentato e di certo non a lieto fine, si celebrano oggi anche matrimoni e feste di nozze.

  • Cosa inserire nel menu? Per esempio i tipici Tagliolini con la bomba, piatto povero legato alla cucina contadina. Il particolare nome deriva dal metodo di preparazione. La pasta non viene scolata del tutto e nell’acqua di cottura si aggiunge il soffritto di cubetti di lardo. L’effetto dell’olio darà origine, nel brodo, a un’ingente quantità di vapore. Proprio come una bomba…di sapore.

  • Niente paura per la digestione, complice il clima mite. Una delle probabili origini del toponimo Gradara è infatti grata aura (dal latino “aria gradevole”).

 

Valeria De Simone

 

Leggi tutto...
Sottoscrivi questo feed RSS