Un viaggio a Pitigliano: lo scrigno della Maremma

Distinguere quale sia l’opera della natura e quella dell’uomo, in questo angolo della Maremma toscana, è quasi impossibile. Una massiccia roccia tufacea sorregge ogni singolo edificio fino a diventare tutt’uno con il paese che di giorno emerge dalle verdi vallate, ma di notte, al chiaro di luna, sembra essere sospeso nel vuoto.

 

Appare così Pitigliano, borgo a 313 metri sul livello del mare, in provincia di Grosseto, quasi al confine con il Lazio. Abitato fin dall’epoca etrusca, a cui risalgano le vie cave, veri e propri corridoi scavati nel tufo, alti fino a 30 metri e ancora oggi percorribili, è noto come La Piccola Gerusalemme. La vicinanza con lo Stato Pontificio lo rese, infatti, fin dal XVI secolo, una delle mete favorite dagli ebrei cacciati via dal Papa.

Restano ancora oggi (e vale la pena visitare) la Sinagoga e il museo ebraico, il forno dove si cuoceva il pane azzimo e la cantina dove si produceva il vino kasher.

 

 

Da non perdere

Ancora, da non perdere, Piazza della Repubblica, punto panoramico di accesso al borgo da cui è possibile scorgere il profilo del Monte Amiata, la cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, costruita a partire dal XIII secolo, ma completata soltanto 500 anni dopo, e la cinta muraria, realizzata per scopi difensivi dagli Aldobrandeschi che governarono Pitigliano fino al 1600.

A dominare l’intero centro storico, i cui muri sono tappezzati di fiori, come in un quadro impressionista, è Palazzo Orsini. Sorto nel XII secolo come convento, divenne residenza degli Orsini e successivamente degli Aldobrandeschi. Attualmente è sede di due musei: il Museo Civico Archeologico e il Museo di Palazzo Orsini. Di fronte al Palazzo si può, ancora, ammirare la fontana delle Sette Cannelle che attinge l’acqua dall’acquedotto mediceo, costruito dai Medici per il rifornimento idrico del borgo attraverso l’acqua raccolta dai vicini fiumi Lenta, Meleta e Prochio.

I lavori, avviati nel ‘500, terminarono oltre 100 anni dopo. A renderli piuttosto complicati pare sia stata l’irregolarità del territorio.

Curiosità

  • Leggenda narra che Pitigliano sia stata fondata da Petilio e Celiano, due giovani che, dopo aver rubato la corona d’oro di Giove a Roma, fuggirono nelle campagne maremmane fondando una comunità dalla quale poi nacque la città Petiliano che prese il nome dalla fusione di quelli dei due romani.
  • Dolce tipico di Pitigliano è lo Sfratto, un biscotto che ricorda la forma del bastone ricurvo usato per sfrattare, appunto, le famiglie ebree dalle loro case e rimandarle nel ghetto a seguito dell’editto emanato nel 1600 da Cosimo II de’ Medici. Fatto con uova e farina, contiene un dolce ripieno composto da miele, scorze di arancia, noci, anice e noce moscata. Un modo, per la comunità ebraica, di trarre qualcosa di buono da un evento negativo. 
  • Si trasferisce negli anni ’80 a Pitigliano, dove ricoprirà la carica di sindaco dal 1995 al 1997, Alberto Manzi, docentepedagogista e scrittore italiano, noto principalmente per aver condotto, fra il 1960 e il 1968, la celebre trasmissione televisiva Non è mai troppo tardi
  • A Pitigliano è stato girato lo spot Blue Pill per il lancio, a gennaio 2015, della nuova auto Fiat 500X.

 

Valeria De Simone

 

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Alla scoperta di Tellaro: un tuffo alla fine del mondo

 

Muri gialli e rosa pastello si alternano a mattonelle rosse e bianche. Porte e finestrelle verdi si stagliano, come sorrisi, sulla scogliera che si affaccia sul Golfo dei Poeti. “È un posto che non si può attraversare. È un posto a cui si arriva. Un po’ la fine, una delle fini del mondo. Si arriva e basta: si è arrivati. C’è un senso, unico, di calma e di chiusura.”

È con queste parole accorate che lo scrittore e giornalista torinese Mario Soldati descriveva Tellaro, borgo marinaro all’estremità orientale di Lerici (SP), fuori dal noto itinerario turistico delle Cinque Terre, dove decise di trascorrere la sua vecchiaia.

Eugenio Montale, invece, durante una sosta in treno, vi trovò l’ispirazione per una poesia. “…Cupole di fogliame da cui sprizza una polifonia di limoni e di arance e il velo evanescente di una spuma, di una cipria di mare che nessun piede d’uomo ha toccato o sembra, ma purtroppo il treno accelera”.

Nato come avamposto difensivo dell’antico insediamento romano di Barbazzano, che nel 1400 fu raso al suolo dai saraceni, Tellaro, abitato oggi da 1200 persone, fu particolarmente apprezzato anche dagli inglesi Virginia Woolf ed Henry James

DA NON PERDERE

A ergersi fiera sullo sperone della roccia a sud ovest è la chiesa di San Giorgio, risalente al XVI secolo. Secondo una leggenda popolare furono proprio le sue campane a svegliare gli abitanti durante un assalto notturno di pirati saraceni. Pare che a dare l’allarme, consentendo ai cittadini del borgo di avere la meglio sui nemici, fosse stato un polpo gigante con i suoi tentacoli.

A testimonianza del curioso avvenimento un’iscrizione in latino nella chiesa: “Saraceni mare nostrum infestantes sunt noctu profligati quod polipus aer cirris suis sacrum pulsabat”. A raccontarlo, poi, in una lettera, anche lo scrittore inglese David Herbert Richards Lawrence che trascorse un periodo della sua vita proprio tra Tellaro e i vicini borghi liguri. Scrive nel 1913 a un amico: “Una leggenda racconta che una volta, di notte, la campana della chiesa cominciò a suonare senza smettere. Gli abitanti si svegliarono spaventati, mentre la campana continuava a suonare misteriosamente.

Poi si scoprì che la corda della campana era caduta sul bordo della scogliera, tra le rocce, un grosso polpo era riuscito a prendere la cima e tirarla, il che è possibile. Gli uomini vanno a pesca di polpi con un’esca bianca e una lunga fiocina. Ne prendono di grandi, a volte di tre chili o tre chili e mezzo di peso. Non ho mai visto niente di così diabolicamente brutto, ma sono buoni da mangiare”.

Già. Forse complice la leggenda, pietanza tipica non poteva che essere il polpo alla tellarese. Lessato con le patate, è condito con olio, olive snocciolate, un trito di aglio, prezzemolo, sale e succo di limone.

Ad attrarre ancora l’attenzione vicino alla Chiesa di San Giorgio è una particolare cancellata in ferro battuto che introduce in una galleria coperta: è la cosiddetta Sotto-ria, costruita intorno al 1300 a difesa del borgo dalle incursioni dei saraceni, dei catalani e dei pirati locali.

Da non perdere inoltre una passeggiata tra i caruggi, strette viuzze che avevano la funzione di incontro, sfide, faide tra famiglie, ma anche di veglia.

CURIOSITÀ

  • Probabilmente è proprio nei caruggi (chiamati a Tellaro carubbi) che affonda le radici l’antico detto di Porto Venere (paesino che si affaccia sul capo opposto del Golfo dei Poeti) “Tellaro non voglio, perché brucian con l’olio”. A Tellaro infatti si produceva così tanto olio da poterlo usare, bollente, come arma di difesa. Pare che, dalle finestre che affacciavano sui vicoli, venisse rovesciato sugli assalitori giunti dal mare.
  • Il nome Tellaro potrebbe derivare da “tela” per via dei commerci di tele e stoffe, o dal latino telus, il dardo usato per la difesa, o addirittura dall’etrusco o paleo-ligure tularche significa “confine del villaggio”.
  • Il 24 dicembre si svolge il Natale Subacqueo. Trasportata da un gruppo di sub, la statua di Gesù Bambino emerge dalle acque per poi essere depositata in una mangiatoia. La luce di 8.000 lumini e i fuochi d’artificio sul mare danno vita a un’atmosfera magica.
  • La CNN ha inserito Tellaro tra i sette borghi più belli e affascinanti d’Europa.

 

Valeria De Simone

 

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Benvenuti al Sud: la mitologica bellezza del Cilento

Qui non si muore disse Gioacchino Murat in visita a Castellabate nel 1811. Davanti agli occhi i monti del Cilento che si tuffano nel golfo di Salerno. Nelle narici aria pura e l’odore pungente dei limoni. Come dargli torto? La celebre frase pronunciata dal re di Napoli, impressa in una targa in prossimità del Belvedere San Costabile, accoglie i visitatori nel borgo medievale divenuto famoso per il film “Benvenuti al Sud”.

Piccolo spoiler: l’ufficio postale, diretto da Claudio Bisio nei panni di Alberto Colombo, non esiste nella realtà. Al suo posto, alcuni bar dove poter sorseggiare un caffè vista mare accompagnato da un croccante e cremoso cannolo cilentano.

Proseguiamo il nostro tour. Camminando tra i vicoli stretti, adornati di fiori, arriviamo al Castello dell’Abate (che dà nome al paese) fatto costruire dall’abate Costabile Gentilcore nel 1123 a scopo difensivo dagli attacchi dei saraceni.

Ma non è l’unico della zona. A 20 minuti di macchina si trova anche la maestosa roccaforte angioina-aragonese di Agropoli. Situata in cima al promontorio, su cui il centro storico è arroccato, è raggiungibile attraverso una salita fatta di “gradoni”. Una volta arrivati in cima incantevole è la vista sul porticciolo con le sue barchette adagiate sul mare cristallino. E se il Grecale vi assiste, potrete scorgere, al tramonto, l’isola di Capri.

 

 

Da non perdere

Se amate la natura dovete assolutamente immergervi nel sentiero Apprezzami l’Asino, a Sapri. A sinistra terra e alberi, dritti di fronte a voi discese e risalite. Sulla destra il golfo di Policastro.

Agli inizi del ‘900 era l’unico tratto che collegava il piccolo paese costiero in provincia di Salerno a Maratea (Pz), snodo nevralgico per lo scambio di merci trasportate dagli asini. Il percorso è in alcuni tratti talmente stretto e ripido che difficilmente due asini, provenienti da sensi opposti, riuscivano a passare insieme. Accadeva così che, dopo una valutazione degli animali e dei carichi, in cambio di un risarcimento pari alla metà del valore dell’asino meno prezioso, quest’ultimo venisse gettato in mare. Da qui il bizzarro toponimo Apprezzami l’Asino.

Adesso di asini non se ne vedono più. A fare capolino, invece, tra i flutti, è la statua della Spigolatrice, adagiata, come una sirena, sullo scoglio dello Scialandro. La ricorderete dai celebri versi di Luigi Mercantini, pregni di patriottismo risorgimentale (“Eran 300, erano giovani e forti…”) imparati sui banchi di scuola.

Realizzata nel 1994 dall’artista Gennaro Ricco, non è l’unica statua della bella contadina che appoggiò la fallimentare impresa di Carlo Pisacane contro la monarchia borbonica. Nel 2021, nei giardini del lungomare di Sapri è stata inaugurata quella dello scultore Emanuele Stifano. Formosa e dalla sguardo fiero, è stata bollata dai media come “troppo audace e sexy”.

Non lasciate il Cilento senza aver fatto tappa a Scario, borgo marinaro alle pendici del Monte Bulgheria, ideale per una pausa pranzo all’ombra di casette variopinte e al suono delle campane della Chiesa dell’Immacolata, dove è conservata una piccola e prodigiosa statua della Madonna. Si narra che, proprietà di un capitano di un veliero, fu donata a Scario a seguito di un miracolo. Era il 1846. L’imbarcazione, proveniente da Napoli e diretta in Sicilia, fu colta da una tempesta improvvisa. Il capitano promise che se fosse scampata al naufragio avrebbe lasciato la statuetta nel primo porto in cui avesse trovato riparo. Così fu. E da allora, il 10 agosto di ogni anno, una processione in mare ricorda l’evento.

Da non perdere, poi, in estate, le spiagge selvagge e incontaminate di Marina di Camerota (che vanta la presenza di numerose grotte di origine carsica dove sono stati rinvenuti reperti risalenti all'età della pietra) e la Baia del Buon Dormire, con la sua sabbia fine e dorata, a Palinuro

Curiosità

  • Miti e leggende aleggiano intorno all’origine di queste due località. Nel quinto libro dell’Eneide Virgilio narra che il nocchiero di Enea, Palinuro (il cui nome in greco significa “vento contrario”), tradito dal dio Sonno mentre conduceva la flotta verso l’Italia, cade in mare.
  • Nonostante fosse riuscito a raggiungere la costa a nuoto, viene ucciso dalla popolazione del luogo (che sarà poi da allora chiamato Palinuro) perché scambiato per un mostro marino.
    Secoli dopo, lo scrittore napoletano Berardino Rota (1508-1575), in apertura della sua opera poetica in latino Sylvarum seu Metamorphoseon liber, lega inscindibilmente la vicenda di Palinuro a quella di Camerota. O meglio, della ninfa del mare Kamaraton.

  • Rota racconta che Palinuro, dopo aver invocato il dio Sonno, si lascia morire perché respinto dalla bella sirena, poi trasformata in roccia da Venere. La dea dell’amore decide infatti di punirla condannandola a guardare per l’eternità il nocchiero respinto. Camerota e Palinuro restano vicini, ma non al punto da potersi incontrare, divisi per sempre da una lunga spiaggia.

Valeria De Simone

 

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