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Acaya, al di là del sole, del mare e del vento

  • 3 Settembre 2023

Ci lasciamo alle spalle Lecce, con le sue chiese barocche e i vicoli brulicanti di turisti accaldati. Lungo la strada che porta alle spiagge, un refolo di tramontana penetra nell’auto rovente. Le foglie degli ulivi, colpite dai raggi del sole, appaiono come dorate. L’uva è quasi matura. La terra, arsa, si frantuma in mille sfumature. Il frinire delle cicale squarcia, poco a poco, la quiete della controra.

L’estate, in Salento, è una carezza per gli occhi e per l’anima. Non è solo aperitivi vista mare al tramonto, serate in masseria, tra musica e buon cibo, ma anche arte, storia e leggende che affondano le radici in campagne sterminate, teatri, nei secoli, di incontri tra culture e sapori diversi.

È proprio nella natura dirompente che, dopo appena 20 minuti di tragitto, fa capolino il borgo medievale di Acaya. Piccola frazione di Vernole (Le), con poco più di 400 abitanti, è una delle tappe della via Francigena pugliese, un tempo collegamento con la Terra Santa. Prima di immergerci in un mare cristallino (ampia, da queste parti, è la scelta tra Ionio e Adriatico) non può, dunque, mancare un tuffo nel passato.

DA NON PERDERE

Attraversando Porta Terra, sormontata dalla statua del protettore Sant’Oronzo e anticamente unico accesso al paese, ci si addentra nel Castello, considerato uno dei massimi esempi di architettura difensiva dell’allora Regno di Napoli.

Ricostruito nel 1536 su volere di Carlo V dall’“Ingegnere Generale del Regno” Gian Giacomo dell’Acaya, costituiva il primo avamposto per avvistare e fronteggiare le incursioni dei Saraceni provenienti dal mare.

A forma di quadrilatero, con due torrioni circolari (uno a nord-est e l’altro a sud-ovest), un bastione a punta di lancia (a sud-est) e, infine, un angolo (a nord-ovest) che si congiunge con la cinta muraria realizzata con blocchi di dorata e porosa pietra leccese, è circondato da un profondo fossato. All’interno scuderie (poi trasformate in un frantoio semi ipogeo), carceri, cucine, magazzini, e, al piano superiore, le sale nobiliari. Suggestiva la terrazza, che affaccia su terreni sconfinati e sui bassi edifici bianchi che caratterizzano il borgo, da cui sembra di toccare il mare con un dito. Il castello è, inoltre, oggi sede di una mostra permanente sugli scavi archeologici di Roca Vecchia, località costiera sull’Adriatico a 15 km da Acaya, famosa per le due grotte Posia (dal greco, “sorgente d’acqua dolce”), meglio note come grotte della Poesia.

Passeggiando per le viuzze del centro da non perdere, poi, Santa Maria della Neve, chiesa del XIII secolo, riedificata quasi completamente nella seconda metà del 1800. Dell’edificio originario rimangono l’abside e il campanile tardo-romanico.

Tappa immancabile, a poco meno di 20 minuti, è, ancora, il Parco Naturale delle Cesine, una delle ultime zone paludose che in passato si estendevano lungo la costa adriatica da Otranto a Brindisi. Nell’ oasi, gestita oggi dal WWF, si trovano Salapi e Pantano Grande, due stagni alimentati da acqua piovana e separati dal mare attraverso una striscia di sabbia. 

CURIOSITÀ

  • Il borgo si chiamava Segine fino al Medioevo. Cambiò il suo nome in onore degli Acaya, nobile famiglia, di origini greche prima e francesi poi, che dominò il territorio salentino per tre secoli. A farne parte anche Gian Giacomo, l’architetto di fiducia di Carlo V, che edificò non solo il castello di Acaya, ma anche quelli di Capua e di Cosenza, Castel Sant’Elmo a Napoli, la fortezza di Crotone e il castello di Lecce. Proprio in quest’ultimo, ironia della sorte, venne rinchiuso fino alla morte nel 1570, dopo essere stato arrestato per aver garantito per un debitore insolvente.
  • Nel corso dei recenti lavori di ristrutturazione del castello di Acaya, all’interno di un’ intercapedine, è stata rinvenuto un affresco databile alla seconda metà del Trecento. Si tratta di una Dormitio Virginis, una raffigurazione ispirata ai Vangeli apocrifi, che rappresenta gli Apostoli mentre assistono alla morte della Vergine e Gesù che ne raccoglie l’anima per presentarla a Dio.
  • Acaya è in qualche modo legata alla famosa tarantella salentina: la pizzica. Appena fuori dalle mura si trova la piccola Cappella di San Paolo Apostolo risalente alla metà del XVIII secolo. Insieme alla chiesa di San Paolo di Galatina, è stata uno maggiori centri del tarantismo nel Salento. Si narra che le donne morse dalla tarantola, in preda al delirio, venissero curate con la danza al ritmo incessante di tamburelli per favorire l’eliminazione del veleno iniettato dal ragno. Ma non solo. Grazie all’intercessione di San Paolo, le pizzicate venivano guarite con l’acqua benedetta estratta dal pozzo situato fuori dalla cappella (di cui ora non ne rimane più traccia).
  • Da qualche anno Acaya è tappa del Festival itinerante della Notte della Taranta.

Valeria De Simone