“Il calcio è emozione ma voi mi avete fatto emozionare davvero tanto. Essere qui con voi è molto bello”. Mentre risuonano ancora le note dell’indimenticabile Seven Nation Army dei The White Stripes, Beppe Bergomi esordisce così mentre sale sul palco della Convention Iconacasa. Acclamato e applaudito da tutti perché lui, ‘lo zio’ così come lo ha battezzato l’ex compagno di squadra Giampiero Marini per via dell’aria più matura conferitagli dai baffi, non è stato solo un giocatore dell’Inter ma è di fatto un’icona del calcio italiano.
Bergomi non ha bisogno di presentazioni: 757 presenze con i colori neroazzurri e 81 in nazionale della quale è stato capitano dal 1988 al 1991. Un coppa del mondo e tanti altri trofei in bacheca. Una vita intera dedicata al sacrificio e fondata sugli stessi valori di Iconacasa.
Chi meglio di lui poteva quindi essere il testimonial per la prima Convention? Bergomi ha presentato suo libro “Bella Zio”, scritto insieme ad Andrea Vitali e allo psicologo sportivo Samuele Robbioni, ma ha anche risposto alle numerose domande dei presentatori raccontando curiosi e interessanti aneddoti della sua vita.
“I valori sono importantissimi. Ogni squadra, ogni team, ha i propri e ogni giocatore deve capirli e farli propri, poi si può sfidare chiunque”
“Per vedere le mie vittorie basta andare su internet e si trova tutto – dice Bergomi spiegando la decisione di scrivere il suo libro – abbiamo deciso di fare un racconto di formazione che descrive la mai vita da 0 a 18 anni, termina proprio quando vinco il mondiale. Racconto la mia famiglia, la mia vita all’oratorio, il mio giocare per strada. Fare il calciatore non è mai stato un sacrificio, è la cosa più bella del mondo. Ma per raggiungere i miei obiettivi ho fatto fatica”.
“I valori sono importantissimi. Ogni squadra, ogni team, ha i propri e ogni giocatore deve capirli e farli propri, poi si può sfidare chiunque. Sentire la fiducia è importante – ha spiegato il commentatore tecnico di Sky – Dopo una stagione negativa avevo diverse richieste da altre squadre ma arrivò all’Inter Osvaldo Bagnoli che mi chiese ‘ma tu vuoi andare? Per me sei il più forte, rimani qui’. Quella frase mi ha fatto fare una stagione straordinaria perché sentivo la fiducia del mister”.
“Il gioco di squadra è fondamentale – ha incalzato Bergomi – il concetto di gruppo l’ho capito già dalla mia prima esperienza in nazionale nel 1982: Bearzot era una persona straordinaria che sapeva di calcio e della vita e selezionava i giocatori perché erano prima di tutto grandi uomini. Ma essere un gruppo non è sufficiente, bisogna giocare di squadra. Fare il capitano non vuol dire solo scambiare il gagliardetto: ognuno di noi si deve togliere qualcosa per darlo agli altri. Io ero il capitano ma capitani erano tutti i miei compagni che mi stavano vicino”.
“Il concetto di gruppo è fondamentale. L’ho capito già nel Mondiale 1982: Bearzot era una persona straordinaria che selezionava i giocatori perché erano prima di tutto grandi uomini”
“Passione e professione possono andare di pari passo? Ovviamente sì. Ora che commento le partite, per esempio, lo faccio sempre con grandissima professionalità, par far capire a voi cosa succede sul campo, ma anche con passione per farvi vivere la partita. Frasi come ‘Andiamo a Berlino’ sono cose che ti vengono dal cuore, non te le prepari prima”.
Sul palco con Bergomi anche lo psicologo sportivo Samuele Robbioni che nel finale ha regalato alla platea un piccolo ma significativo aneddoto: “Durante uno degli ultimi allenamenti a Modena, Julio Velasco ha provato in battuta un ragazzo delle giovanili dopo Ivan Zaytsev. Era un po’ come battere un rigore dopo Cristiano Ronaldo. Il ragazzino ha sbagliato le sue battute ma Velasco gli ha detto: ‘Ricordati che l’acqua bolle sempre a 100 gradi’. Insomma, non si può ottenere tutto e subito, si va per gradi con tanto lavoro, sacrificio, fiducia e consapevolezza in sé stessi”.