Press ESC to close

Civita di Bagnoregio: la città che “vive” tra storia e leggende

  • 3 Gennaio 2023

Un ponte lungo 300 metri sospeso sulla suggestiva Valle dei Calanchi, levigata da pioggia e vento in milioni di anni. Rovi, ginestre e olmi fanno capolino tra le nuvole. Tutto intorno, come dipinti, i profili dei monti umbri. A rompere il silenzio il battito d’ali dei rapaci e il miagolio di gatti sonnecchianti sui muretti. Sembra di essere in un romanzo di Tolkien, ma la bellezza è a un’ora di macchina da Roma.

Precisamente tra il Lago di Bolsena e la Valle del Tevere, in provincia di Viterbo. È qui che sorge Civita di Bagnoregio, antico borgo di origini etrusche. Noto come la città che muore (a definirlo così Bonaventura Tecchi, scrittore e critico nato proprio qui nel 1896) per i diversi crolli subiti nel corso dei secoli, a causa di erosioni, frane ed eventi sismici, oggi è vivo più che mai. Sono, infatti, circa 700mila i turisti che ogni anno giungono da ogni parte del mondo per ammirare il paese incastonato in uno sperone alto 70 metri, così friabile e (forse, soprattutto per questo) estremamente affascinante.

Bando alle auto. Civita di Bagnoregio si attraversa a piedi. O meglio, in punta di piedi. “Giunto così in alto, mentre vaghi per le vie di questo antico borgo, sii rispettoso. Della sua storia, ora fatta di silenzio, di voci portate dal vento, di fiori che sono la vita, abbi cura.” Recita così un’iscrizione in ceramica all’ingresso del piccolo comune del Viterbese che ha dato i natali, intorno al 1221, anche a uno dei Padri della Chiesa: San Bonaventura da Bagnoregio, autore della «Legenda maior», biografia ufficiale di San Francesco d’Assisi.

DA NON PERDERE

Si narra che durante un suo soggiorno nel borgo, oggi annoverato tra i più belli d’Italia, San Francesco curò, salvando da morte certa, un giovane di nome Giovanni di Fidanza. La madre del ragazzo promise al Santo che il figlio, guarito, si sarebbe fatto frate con il nome di Bonaventura. (C’è ancora la Grotta, antica tomba etrusca, dove presumibilmente avvenne il miracolo).  

Nella concattedrale di San Nicola è conservato, invece, il cosiddetto santo braccio: l’arto destro di San Bonaventura, unica reliquia rimasta dopo la profanazione del suo sepolcro a Lione (dove morì nel 1274 mentre partecipava al II Concilio).

Ma non solo. Entrando da porta Santa Maria, caratteristica perché scavata nel tufo, ci si immerge in un vero e proprio viaggio nel tempo lungo 2000 anni. Spesso teatro di battaglie, Civita di Bagnoregio accolse dapprima gli Etruschi e i Romani, poi i Goti, i Visigoti, e ancora i Bizantini e i Longobardi. Persino Carlo Magno, Giuseppe Garibaldi e numerosi Papi passarono dai vicoli dove oggi si sorseggia in tutta tranquillità un caffè accompagnato dalle tisichelle, ciambelline all’anice tipiche del territorio.

Non mancano, poi, case medievali e palazzi rinascimentali come quello degli Alemanni, sede del Museo Geologico e delle Frane. A spiccare in altezza è il campanile della chiesa romanica di San Donato famosa per un affresco della scuola del Perugino, ma, soprattutto, per un crocifisso ligneo miracoloso. Leggenda narra che parlando a una donna, durante la pestilenza del 1499, ne avrebbe predetto l’imminente fine.

CURIOSITÀ

Proprio per le sue caratteristiche Civita di Bagnoregio si presta a essere un set cinematografico. Numerosi i film che vi sono stati girati da I due colonnelli (1962), di Steno con Totò e Vittorio De Sica fino ai più recenti Questione di karma (2017) di Edoardo Falcone e Puoi baciare lo sposo (2018) di Alessandro Genovesi.

Anticamente era conosciuto con il nome di Bagnorea, (Balneum Regis –  Il bagno del re) per la presenza di acque termali dalle particolari proprietà terapeutiche. Secondo una leggenda, infatti, Desiderio (re dei Longobardi dal 757 al 774) sarebbe stato guarito da una grave malattia grazie a un bagno in queste acque.

Oggi Civita di Bagnoregio conta appena 10 abitanti. Tra questi lo scrittore e psichiatra Paolo Crepet e il regista Giuseppe Tornatore.da di Palinuro a quella di Camerota. O meglio, della ninfa del mare Kamaraton.

Valeria De Simone