Manovra 2020, c'è l'intesa nel Governo: cedolare secca resta al 10%

Disinnescato il temuto aumento al 15%: le coperture arriveranno da nuove tasse sul gioco d'azzardo. Confermato il bonus facciate

La cedolare secca resta al 10%. È la notizia più importante, e anche la più attesa, che arriva dal vertice di maggioranza che ha perfezionato gli ultimi dettagli sulla legge di Bilancio 2020 e sul Dl fiscale collegato.

 

La cosiddetta cedolare secca "sociale", la tassa che sostituisce l’Irpef per chi dà in affitto un appartamento a canone concordato, era destinata ad aumentare fino al 15% dal 1 gennaio 2020 ma resterà al 10% in via definitiva. Secondo i dati del Rapporto immobiliare 2019 (Abi-Agenzia entrate) le abitazioni interessate da questa misura sarebbero oltre 250mila. 

Per farlo le due anime della maggioranza hanno dovuto trovare le coperture: mantenere la cedolare al 10% serviranno 100 milioni che saranno trovati ricorrendo al gioco: oltre all’aumento delle tasse sui concessionari, il cosiddetto Preu, già previsto, ci sarà un rincaro della cosiddetta tassa sulla fortuna. Oggi la tassa che paga chi vince sulla quota che eccede i 500 euro, dal Gratta e Vinci al SuperEnalotto, è del 12 per cento e passerà al 15. con un gettito previsto di circa 96 milioni.

Altra novità annunciata e confermata è l'accorpamento di Imu e Tasi nella cosiddetta local tax. Confermate le altre misure annunciate che interessavano il mondo dell'immobiliare, a cominciare dalla novità del "bonus facciate"  con una detrazione del 90% rispetto alle spese sostenute per chi decide di effettuare la ristrutturazione delle facciate degli edifici condominiali e non solo.  Prorogato per il prossimo anno anche il bonus per i lavori di ristrutturazione ed efficientamento energetico e il bonus mobili. 

 

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Manovra 2020, occhio alle tasse per gli immobili: triplicate le imposte catastali

Nel documento Programmatico trasmesso all'Unione Europea spunta il rialzo di alcune tasse per la casa.

Cambiano i Governi ma la casa resta sempre nel mirino di Palazzo Chigi. Nel documento Programmatico di Bilancio trasmesso all'Unione Europea in vista dell’approvazione della manovra 2020, ha certificato la volontà di ritoccare nuovamente le imposte attualmente pagate dai proprietari di casa, ovviamente verso l'alto. Ovviamente si tratta di un testo provvisorio, "salvo intese": bisognerà attendere il testo definitivo. 

Il primo tasto dolente dovrebbe riguardare le imposte ipotecarie e catastali sui trasferimenti immobiliari soggetti all’imposta di registro, che verranno triplicate, passando da 50 a 150 euro. Mentre quelle sui trasferimenti immobiliari soggetti ad Iva caleranno di 50 euro (da 200 a 150) per equiparare il prelievo tributario delle citate imposte sui trasferimenti immobiliari.

Rialzo anche per la cedolare secca. Il governo ha poi previsto un aumento della tassazione negli affitti a canone concordato a partire dal 2020. L’imposta del 10% verrà innalzata al 12,5%. C’è da dire che l’aliquota venne ridotta nel 2014 dal 15% al 10% con l’obiettivo di riportarla al 15% negli anni successivi ma poi la riduzione venne prorogata di anno in anno. Adesso si prevede un rialzo ma non in maniera completa. L’obiettivo dell’aliquota è stato quello di calmierare gli affitti, anche quelli universitari.

In attesa di capire se queste anticipazioni verranno confermate, è arrivata la bocciatura da parte di Confedilizia per bocca del presidente Giorgio Spaziani Testa: "Se il Governo confermerà questa decisione sarebbe un clamoroso autogol. La cedolare sugli affitti calmierati è una misura sociale, condivisa da forze politiche, sindacati inquilini, operatori ed esperti del settore immobiliare. In questi sei anni di applicazione ha garantito un’offerta abitativa estesa, favorendo la mobilità di lavoratori e studenti sul territorio".

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Cedolare secca per negozi, ok dell'Agenzia delle Entrate: non incide quota variabile da contratto

Con una nota sul "FiscoOggi.it"  l'ente pubblico ha chiarito la questione dopo l'interpello presentato da una contribuente. 

Cedolare secca anche nel caso di affitti commerciali il cui contratto prevede una quota di canone variabile. A chiarirlo in maniera definitiva è l'Agenzia delle Entrate con la risposta n. 340 del 23 agosto 2019 in cui spiega che detta variabilità non deriva da una successiva richiesta di aggiornamento, ma è frutto dell’applicazione di clausole contrattuali liberamente concordate dalle parti, fin dalla stipula del contratto e ritenute eque per contemperare i diversi interessi dei contraenti.

La nota dell'Agenzia delle Entrate è arrivata dopo un interpello presentato da una contribuente e la spiegazione dell'ente pubblico è arrivata direttamente sul portale FiscoOggi.it

Il quesito "L’istante fa presente di voler acquistare un negozio, iscritto in catasto con categoria C/1 e superficie inferiore a 600 metri quadrati. L’immobile verrà locato a una società con un contratto di locazione per immobile commerciale della durata di 6+6 anni, con un canone costituito da due componenti

- una quota fissa annuale pari a 59mila euro
- una quota variabile pari a 3,4% dei ricavi del punto vendita della società conduttrice, per la sola parte che in ciascun anno supererà 1 milione di euro di ricavi.

La contribuente vuole assoggettare il contratto al regime della cedolare secca, esteso dal 1° gennaio 2019 anche alle locazioni commerciali a precise condizioni dall’articolo 1, comma 59 della legge n. 145/2018 (Bilancio 2019).
Poiché il comma 11 dell’articolo 3 del Dl n. 23/2011 (cedolare secca sugli affitti) prevede che durante il periodo corrispondente alla durata dell'opzione per la cedolare secca è sospesa "la facoltà di chiedere l'aggiornamento del canone, anche se prevista dal contratto a qualsiasi titolo, inclusa la variazione accertata dall'Istat", la contribuente vuole sapere se quanto previsto nel contratto di locazione, che fa dipendere la quota variabile del canone dal fatturato del conduttore, possa essere di ostacolo all'assoggettamento del contratto stesso al regime della cedolare secca".

La risposta "I tecnici dell’Agenzia partono dall’aspetto innovativo riservato agli immobili ad uso commerciale apportato dalla legge di bilancio 2019 che, per i contratti stipulati nel 2019 aventi ad oggetto unità immobiliari C/1, di superficie fino a 600 mq, consente di assoggettare il canone di locazione annuo stabilito dalle parti a un’imposta sostitutiva nella misura del 21%, anziché facendo concorrere il reddito fondiario alla formazione del reddito complessivo imponibile alla tassazione Irpef ordinaria.

Nel continuare la loro disamina nel merito della questione posta, i funzionari delle Entrate devono stabilire se la pattuizione contrattuale possa rientrare in quanto sancito dal comma 11 dell’articolo 3 del Dl n. 23/2011 che, in sostanza, sospende la facoltà di chiedere l’aggiornamento del canone di locazione. In particolare, occorre ricordare che la variazione accertata dall’Istat è prevista, per gli immobili non abitativi, dall’articolo 32 della legge n. 392/1978, disposizione che non incide sul principio della libera determinazione del canone di locazione delle parti contraenti.

Ma nel caso in esame è evidente la differenza tra l’aggiornamento del canone di locazione per eventuali variazioni del potere di acquisto della moneta, come previsto dall’articolo 32 della legge n. 392/1978 e la pattuizione contrattuale di una quota di canone variabile legata alla parte di ricavi che supera 1 milione di euro. Inoltre, sulla libertà di determinazione del canone di locazione di immobili adibiti ad uso diverso dall’abitazione è intervenuta anche la Corte di cassazione con la sentenza n. 5849/2015 che riconosce la libertà delle parti “… di determinare il contenuto del contratto che meglio riproduca il loro concreto assetto di interessi, dando spazio anche alla possibilità che il canone non sia uniformemente determinato per tutti gli anni di durata del rapporto potendo essere tali eventuali variazioni predeterminate causalmente giustificate dal contesto delle pattuizioni o comunque dalle circostanze del caso concreto prese in considerazione dalle parti stesse “.

Alla luce di quanto finora esposto, l’Agenzia delle entrate ritiene che la possibilità di determinare il canone di locazione rientra nella libertà accordata alle parti di determinare il contenuto del contratto e non comprende né una determinazione privatistica, né un aggiornamento del canone a qualsiasi titolo, previsto dal citato comma 11 dell’art. 3. Pertanto, la previsione contrattuale presente nel contratto di locazione, che fa dipendere la quota variabile del canone dal fatturato del conduttore, non rientra nel campo di applicazione del comma 11 e, come tale, non può precludere l’assoggettamento del contratto stesso al regime della cedolare secca".

 

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